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Adolescenze a rischio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chi sono i giovani più esposti?

Quali le cause?

Cos'è cambiato nella storia familiare, sociale, culturale?

 

 

 

 

 

 

 

 

La rigidità del sistema familiare

 

Il disagio giovanile è un fenomeno molto diffuso, si potrebbe definire uno dei grandi mali della gioventù di questo millennio.

Con il termine disagio s’intende uno stato diffuso di malessere interiore che si esplicita in diversi modi: dal ritiro sociale, con una chiusura del soggetto verso il mondo e verso gli altri, a condotte aggressive autodirette o eterodirette a carattere autolesionistico.

Le cause di questo vissuto possono essere ricercate nel vissuto stesso del ragazzo e spesso all’interno del contesto familiare.

Il giovane, nella sua sintesi, è ciò che sperimenta quando è ancora molto piccolo, è il risultato dell’accudimento ricevuto e delle esperienze relazionali fatte con le figure di riferimento.

La famiglia è definita da alcuni autori, la prima agenzia educativa, poiché, è per la prole modello di uomo e di donna, di padre e di madre, di maestro di vita; è qui che il giovane impara come parlare, come rapportarsi agli altri, come essere figlio e come essere un giorno genitore.

Il fenomeno del disagio giovanile è molto più diffuso oggi che in passato per svariati motivi, il principale è probabilmente legato all’evoluzione stessa della famiglia.

La tradizionale famiglia patriarcale dell’epoca pre-industriale, era costituita da diverse e numerose generazioni spesso conviventi e rappresentava l’ambiente sociale privilegiato, dove le esigenze del singolo, soprattutto della prole, trovavano ascolto, attenzione e disponibilità. La famiglia assumeva quindi valore di sostegno e di solidarietà in termini relazionali, ma anche quello di ambiente deputato alla trasmissione di valori e tradizioni (1). Dall’epoca della famiglia nucleare coniugale, ad oggi, si sono verificate enormi trasformazioni sociali e culturali, che hanno prodotto profondi cambiamenti nella struttura e nell’organizzazione della famiglia stessa, ciò ha contribuito a cambiarne il clima nonché la relazione genitori-figli.

Tale metamorfosi ha portato al passaggio da un unico modello di famiglia (quella nucleare) ad una pluralità di forme familiari.

Separazione e divorzio sono i fenomeni che maggiormente contribuiscono ad alterare il quadro delle forme familiari del nostro paese (2). I divorzi sopraggiungono spesso quando i figli affrontano la delicata fase di passaggio dall’infanzia all’adolescenza e trovano nel comportamento dei genitori una delle maggiori cause di sofferenza. In questo periodo spesso gli adulti sono troppo affannati dalla propria infelicità, per potersi occupare di quella della prole contendendosela e trasfigurandola in oggetto di ricatto e strumento di punizione reciproco. La conseguenza di ciò, porta l’adolescente a vivere la sua crescita in un clima di grande precarietà affettiva, smembrato e diviso tra genitori in guerra, talora usati come merce di scambio e privati del loro fondamentale diritto ad un'autentica e profonda relazione affettiva con entrambi le figure genitoriali. Di solito, inoltre, tendono ad introiettare la colpa, sentendosi causa della propria sofferenza e di quella dei loro genitori (3).

Tra le forme familiari che si delineano in seguito ai divorzi, particolare rilievo assumono, per via delle problematiche relazionali ed economiche, le famiglie monogenitoriali, cioè composte da un solo genitore ed almeno un figlio, le quali, spesso, non possono più contare sull’appoggio e sul conforto che veniva loro offerto in passato, dal contesto familiare allargato, che ben si prestava ad assorbire eventuali debolezze e inadeguatezze individuali genitoriali, garantendo, comunque, cura, educazione e un’ampia gamma di modelli alle giovani generazioni. Si viene così a creare la difficile situazione di genitori lasciati a se stessi che spesso, senza volerlo, sono troppo presi dal risolvere le situazioni che il divorzio ha comportato, trascurando i figli.

Un’altra forma familiare che si può forgiare e che coinvolge e sconvolge i figli, è quella ricostituita in cui la madre, il padre o anche entrambi, dopo la separazione, ricreano una famiglia con nuovi partner che spesso, hanno a loro volta dei figli. Questa nuova situazione comporterà la riorganizzazione dell’intero assetto familiare e l’incertezza nei confini, nei termini da utilizzare, nei ruoli da assumere. Per i figli, la ricomposizione della famiglia, verrà vissuta come l’aggiunta ai genitori biologici, di uno o due nuovi genitori “acquisiti”, oltre ad eventuali fratelli. L’introduzione di queste nuove relazioni potrà provocare vari problemi: uno dei compiti più difficili che si potrebbe verificare, è per i figli l’accettazione dell’autorità del partner della madre, o le cure e le attenzioni della compagna del padre. Anche i fratelli acquisiti sono quasi sempre rifiutati e spesso vissuti come rivali da sconfiggere (4). Non è raro che figli adolescenti non accettino l’imposizione di avere una nuova famiglia e la reazione potrebbe essere quella di accesa ostilità espressa verso i nuovi familiari, verso il proprio genitore biologico o anche verso l’esterno, attraverso condotte devianti. Fece molto parlare di sè Eric Borel che all’età di 16 anni uccise, spinto da una forte rabbia verso il padre e il fratello acquisiti che gli avevano “portato via le sue due donne”, la madre e la sorella. “Eric lo detestava da quando s'era accorto che era il suo viso che si sovrapponeva a quello del suo vero padre e lo faceva confondere. Era la sua faccia che gli impediva di ricordare suo padre. Anche per questo dopo aver sparato li aveva presi a martellate, per demolire le loro facce. Ma soprattutto li odiava perché gli avevano, tutte e due, rubato le donne. Sua madre prima e poi Caroline” (5).

Oltre a quella del divorzio, vi sono altre situazioni familiari che possono favorire l’emergere o l’incrementarsi del disagio nel ragazzo. Molte famiglie, non facilitano l’individuazione dei propri figli, non li aiutano, cioè, a diventare adulti attraverso la definizione e la scoperta della loro identità personale. L’identità familiare, invece di essere ereditata come prezioso patrimonio di tradizioni, di cultura, di affetti, che il giovane investirà nella propria vita in modo personale e creativo, diventa un limite che impedisce al figlio di cercare orizzonti propri, imprigionandolo in un progetto preconfezionato.

Le figure genitoriali cercano di trattenere i figli nella loro orbita anche quando i tempi sono maturi perché venga portato a compimento il processo di separazione-individuazione dalla famiglia, perché acquisiscano una loro autonomia, che prevede anche la messa in discussione di valori e stili di vita della generazione precedente. È come se i genitori non potessero sopportare il travaglio della “ri-nascita” del figlio a una individualità adulta, quasi vivessero la sua differenziazione come un tradimento o un abbandono (6).

Altre volte, il permesso di diventare adulto è concesso al figlio solo a condizione che riproduca integralmente, quasi per clonazione, il modello genitoriale. Padri e madri socialmente e professionalmente affermati corrono più di altri tale rischio. I loro figli possono diventare dei forzati della carriera, spinti con pressioni dirette o indirette a scalare vette in cui i genitori conoscono tutti i segreti, magari con una certa riluttanza iniziale, eppure incapaci di rifiutare opportunità così allettanti. I sentieri spianati dai genitori sono trappole in cui è facile cadere. Per questi genitori il rischio dell’intolleranza per le scelte autonome dei figli è sempre in agguato.

Un’altra categoria “a rischio tolleranza” è quella dei genitori professionalmente impegnati in campo educativo: il rischio che corrono questi genitori è quello di aderire alla propria teoria come ad una fede, di accanirsi nell’applicazione di una tecnica educativa, di affezionarsi al proprio modello pedagogico fino al punto di essere più attenti alla sua stretta osservanza che alle reali esigenze dei figli. E quando questi figli in carne e ossa non producono i risultati promessi dal modello si sentono doppiamente falliti, come genitori e come professionisti dell’educazione, riversando sui figli la rabbia per la delusione patita.

L’eredità familiare fa spesso sentire più pesantemente i suoi effetti in una età della vita che è quella delle realizzazioni concrete dei figli giovani adulti. Al momento dell’attuazione delle scelte di vita, delle decisioni importanti, dell’“uscita” dal nucleo familiare il cerchio si stringe intorno ai figli. Le sollecitazioni a essere in un certo modo, a soddisfare le aspettative genitoriali, che magari durante l’infanzia e l’adolescenza erano state discrete, larvate, possono farsi più dirette, più stringenti, finendo per mettere in ombra la loro individualità. Così, alcuni genitori giocano le ultime carte per caricare sul dorso dei figli, più recalcitranti, cesti pieni di mete da raggiungere, realizzazioni da conseguire, obiettivi da centrare, su cui non ci sarebbe nulla da ridire, se non fosse che tali obiettivi, mete e realizzazioni non appartengono affatto al figlio (7).

Anche la fase dell’ uscita di casa del figlio ormai giovane adulto, può essere particolarmente critica per la coppia genitoriale, che deve assestarsi su nuovi equilibri, ritrovare una dimensione di coppia, essere pronta ad elaborare e superare la dimensione depressiva legata al “nido vuoto” (8). Tutto questo in un momento in cui i singoli individui stanno affrontando i problemi legati alla maturità, all’invecchiamento. Questa fase difficile, ma gravida di potenzialità evolutive per la coppia ricca di risorse, il cui equilibrio è dinamico ed è capace di inventare nuovi obiettivi e nuove realizzazioni, può divenire patologica quando l’equilibrio è rigido, quando ci sono problemi preesistenti. Se la coppia genitoriale si blocca in questa fase del proprio ciclo vitale, se non riesce a crescere, non è raro che anche il figlio vada ad arenarsi in questa fase del proprio ciclo vitale, restando a sua volta invischiato nelle dinamiche conflittuali dei genitori, col risultato di ritardare il momento delle proprie realizzazioni concrete, di non potersi occupare serenamente dei propri compiti evolutivi (9).

Ci sono poi i così detti “figli d’arte”, personaggi del mondo dello spettacolo, della politica, ma anche persone che raggiungono posizioni prestigiose nell’ambito di svariate professioni, pervenendo attraverso percorsi personali e autonomi a ricalcare le orme dei loro genitori, che devono frequentemente pagare un pedaggio particolarmente costoso per proseguire per la loro strada. È facile, infatti, che i loro meriti e le loro acquisizioni siano visti da colleghi e rivali come frutto di meccanismi clientelari e nepotistici messi in moto dai genitori (10). Un’altra condizione familiare critica che provoca disagio e sofferenza nel figlio, è quella in cui regna un clima di violenza. Il figlio è costretto ad assistere e spesso subire soprusi fisici e psicologici, apprende tutto ciò come modalità comportamentale, lo incarna e lo attualizza negli ambienti che frequenta, trasformandosi così da vittima a carnefice (11).

Tale modalità che non è accettata e condivisa dal Mondo, provoca un ulteriore sensazione di disagio, di incomprensione e di isolamento.

Gli adolescenti si ritrovano troppo frequentemente senza figure parentali con cui confrontarsi, cui chiedere conforto ed aiuto nell'affrontare la difficile stagione delle scelte di vita. Talora, l'adolescenza si prolunga sul piano emotivo, relazionale e sociale, per molti anni.

 

 

Richieste e aspettative: dalla società dei valori alla società dei voleri

 

Il disagio giovanile trae origine da diverse cause che concorrono nell’alterare lo sviluppo dell’individuo.

I fattori ambientali e culturali, sono quelli che influenzano maggiormente i comportamenti del ragazzo. Un rapporto deteriorato dell'adolescente con la famiglia o con la società, può determinare una mancata acquisizione delle norme sociali, provocando di conseguenza un inceppamento nei meccanismi che regolano il processo di socializzazione ed integrazione fino a comportare lo sviluppo di una vera e propria patologia.

Per quanto concerne i costituenti della società nel favorire lo sviluppo di stati di disagio e di isolamento nel giovane, i messaggi trasmessi non sono più quelli epoca contadina dove veniva valorizzato il lavoro, la famiglia, la solidarietà tra le persone; non è più una società fondata sui valori, dove l’amore, l’amicizia e la fedeltà ne erano i pilastri. Quella odierna è una società che tende sempre più a mostrare il suo aspetto peggiore che, allo stesso tempo, è anche quello più attraente: l'iperstimolazione cognitiva, il consumismo estremo come substrato all'esaltazione della libertà e del rischio. Tutto ciò si riflette sull'adolescente che non ha ancora maturato una piena coscienza critica e presenta una sorta d’insensibilità alle gratificazioni della quotidianità.

La soglia di gratificazione sempre più alta, la scarsa capacità di provare piacere rende molti giovani anedonici, abulici, annoiati, incapaci, per di più, di saper dilazionare la fruizione degli oggetti desiderati. Solo le attività a rischio, straordinarie e pericolose, risultano degne d’attenzione (12). Il risultato di queste tendenze è lo sviluppo di giovani dall’identità fragile, frammentata, disorientata e insicura.

L'obiettivo che la collettività sarebbe tenuta a prefiggersi, dovrebbe essere quello di favorire la formazione di un individuo, che da adulto troverà in sè la forza per non essere sconfitto dalla vita, che sia in grado di comunicare, stabilire relazioni affettive, esprimere e comprendere stati emotivi e non ragazzi che fondano la ragione del proprio essere sull'avere (13).

I ragazzi che vivono la delicata fase della pubertà, durante la quale devono rinunciare, senza averlo scelto, al loro stato di bambino, per accedere a quello di adulto a cui non sono abituati e da cui sono spaventati, vivono il forte il timore di annichilimento e hanno bisogno di dimostrare che ci sono (14).

A volte far sfoggio di ciò che si ha, sembra l’unico mezzo.

Nelle famiglie benestanti questo messaggio è spesso rafforzato da genitori che cercano di colmare la loro distanza fisica e spesso emotiva tramite doni nel tentativo di surrogarli con l’affetto.

Altri ragazzi invece vivono in paesi o città con forti problemi economici, con poche o totalmente assenti strutture destinate ai giovani, zone chiuse anche geograficamente e spesso appartengono a famiglie che non hanno alti livelli di istruzione e associano la felicità alla ricchezza e la desiderano ad ogni costo. Vivono in una società che non offre loro nulla, che mostra loro quanto il successo e la fama sia legata ai soldi e persino l’alto costo delle medicine e delle visite mediche fa pensare che ormai persino la salute è solo per i ricchi.

Lo stato di povertà, disoccupazione, degrado ambientale è dunque fortemente associata al disagio giovanile (15).

Oltre ai “valori” di ricchezza e potere, un altro messaggio errato inviato tramite i media e che provoca malessere nei giovani, è quello che vanta la forza e la bellezza fisica: per esempio, alcune ragazze potrebbero aspirare ad essere come le modelle viste sui giornali e nel tentativo di assomigliare a loro, potrebbero mettere in atto stili di vita rigidi, come restrizioni alimentari che, a lungo andare, potrebbe sfociare in disturbi quali bulimia e anoressia.

Tal volta, causa del disagio giovanile è la mancanza di modelli di riferimento a cui i giovani possano riferirsi per strutturare la propria personalità. Gli adulti cercano di trasmettere regole sociali e valori da rispettare che favoriscano l’adattamento al mondo in cui si vive, ma se il mondo, la società, gli adulti, danno di sé un’immagine aggressiva o di eccessiva tolleranza ed indifferenza di fronte all’aggressività, non potranno non trasmettere questo contenuto e questo modello negativo ai giovani, aumentando le loro difficoltà di adattamento.

Alcuni autori individuano l’origine dei problemi dei giovani di oggi in un’azione educativa troppo blanda, permissiva, che ha prodotto effetti negativi sui ragazzi sia sul piano della chiusura relazionale che di quello della trasgressione.

L’incapacità giovanile di frenare gli impulsi, di negoziare i conflitti, di esprimersi in maniera chiara in un contesto, di sentirsi responsabili delle proprie azioni, di riflettere sulle conseguenze dei propri atti, ha come causa generale l’incapacità di molti adulti di trasmettere queste competenze evolutive, in quanto carenti essi stessi di queste abilità. Deficienze che hanno una loro spiegazione nella difficoltà degli educatori nel modo di comunicare, di essere presenti, di dire dei no, di proporre dei modelli positivi, di assumere un ruolo di guida e di riferimento forti. E’ la diffusione di una cultura e di una società adulta in cui tutto sembra essere permesso, che cerca di evitare le responsabilità individuali anche tra i giovani. Per gli adolescenti si tratta di sperimentare una libertà senza confini che porta a riconoscere alcune regole, ma non le norme morali ad esse correlate. E sono proprio i punti di vista etici e politici, nella loro accezione più alta, ad essere utili per riaprire con i giovani una comunicazione interrotta proprio sul valore e sul significato dell’esistenza, degli ideali e dei valori di una società e della fiducia nel proprio futuro.

In età adolescenziale il giovane ha acquisito alcune competenze di autocontrollo che però, nella ricerca confusa di una propria identità e di una sperimentazione di esperienze di vita che vuole agire in prima persona, può mettere in discussione.

Caduta dei freni inibitori e sfida al mondo adulto, ricerca del rischio e della trasgressione, del divertimento e dello “sballo”, possono diventare un viatico per vivere in maniera apparentemente libera da regole e da principi morali generali, ma sregolata.

Il problema è che di fronte a contesti sociali non in grado di contenerlo, sorreggerlo, guidarlo e che, veicolano messaggi di indifferenza o debolezza, l’adolescente può con più facilità intraprendere strade che lo portano ad uno scarso autocontrollo e ad una libera espressione della propria aggressività.

La critica implicita è rivolta agli eccessi del permissivismo educativo, alla scarsa guida etica e al disinteresse che la comunità dimostra nei confronti dei giovani. Quando la famiglia non è in grado di contenere l’aggressività dei figli, sarebbe importante che la società stessa, nel far rispettare le proprie regole, si ponesse come modello poiché, se questo non avviene e se non scattano sanzioni certe rispetto alle azioni trasgressive, allora è facile che i giovani tengano poco in considerazione questi limiti, non preoccupandosi delle conseguenze che potrebbero subire.

Il disagio giovanile non è, e non va confuso, con il naturale ed evolutivo disagio adolescenziale che è meglio definire come difficoltà tipiche del periodo puberale.

Osservando i giovani possiamo dire che sono in parte il prodotto di questa società, del suo grado di complessità, delle incertezze che vive, di un futuro che oggi ha pochi punti di riferimento stabili. La rispecchiano (16).

 

 

La tendenza all’isolamento: dalle relazioni reali a quelle virtuali

 

La tendenza all’isolamento è un fenomeno molto diffuso in adolescenza, quando il ragazzo vive la delicata fase di crescita caratterizzata da trasformazioni somatiche, qualitative e quantitative, riguardanti le mutazioni a carattere fisiologico, la maturazione dell’apparato genitale e l’accrescimento morfologico. Tali cambiamenti somatici s’innestano nella dinamica evolutiva dei processi psichici. Tutto ciò può esporre il giovane ad alcune alterazioni: a livello di auto-percezione, per cui il soggetto nei confronti del proprio corpo prova un sentimento di inadeguatezza, e a livello di relazione con il mondo circostante, per cui il soggetto, sentendosi disarmonico, goffo e maldestro nel corpo, tende a ridurre i contatti interpersonali (17). Questa è una normale fase di passaggio che porta il ragazzo da un’iniziale fase di chiusura e di conflitto verso i genitori, dai quali non si sente capito, ad una ricerca di svincolo e di riconoscimento da parte dei pari, quindi ad una graduale apertura verso l’esterno.

Il fenomeno dell’isolamento, normale in età adolescenziale, diviene problematico se si considera il numero crescente di ragazzi sempre più giovani che vivono la maggior parte del tempo entro le mura domestiche soli o in compagnia della playstation, del computer, della televisione e che comunicano sempre meno con il mondo reale per rifugiarsi sempre più in quello virtuale (18).

Il benessere di questi ragazzi, abbandonati pur non essendo orfani, viene delegato alla figura della baby-sitter in quanto i genitori conducono spesso uno stile di vita intenso e frenetico, sempre più coinvolti in attività lavorative, che costringe loro a stare lontani da casa per lunghi periodi di tempo. Si concretizza in tal senso il concetto di deprivazione delle cure genitoriali in termini di vicinanza fisica e affettiva.

La solitudine, ormai, nasce con il bambino, le madri stesse spinte dal desiderio di indipendenza o talvolta per via di reali necessità economiche, riprendono subito a lavorare svezzando presto la prole e inserendola in strutture per l’infanzia in età precocissima.

Altri bambini, vengono cresciuti dalla tecnologia come sostituto genitoriale ed i personaggi dei cartoni animati, diventano modelli che sono via via interiorizzati.

La scuola potrebbe aiutare o ostacolare questi bambini nelle loro difficoltà. La relazione educativa è un incontro tra maestro ed allievo: un incontro tra intelligenze, tra mondi vitali, tra persone. Un incontro di menti e di affetti (19). L’insegnante dovrebbe essere capace di cogliere, interpretare, tener conto delle variabili emotive ed affettive che influiscono sull’atteggiamento degli alunni. Occorre che gli forniscano attenzione e possibilità di comunicazione. Se ciò avviene, gli insegnanti possono assumere il ruolo di esempio da imitare e possono compensare le carenze delle attenzioni e delle cure genitoriali; in caso contrario, le conseguenze potrebbero essere varie, dall’insuccesso all’abbandono scolastico, dalla sfiducia nei confronti degli altri allo sviluppo di una bassa autostima, via via verso una progressiva chiusura in se stessi (20).

Un grave fenomeno che si sta diffondendo progressivamente nelle scuole ed è altrettanto causa, oltre che di sofferenza, di isolamento per alcuni bambini, è quello del bullismo. Con tale termine si fa riferimento ad una serie di azioni, ripetute, che hanno lo scopo di creare un dominio psicologico dei bambini più forti nei confronti di quelli più deboli. A lungo andare, può trasformarsi in una vera e propria persecuzione e causare danni gravissimi. Ne sono protagonisti ragazzi sempre più giovani, che si divertono ad esercitare una specie di oscuro potere nei confronti degli altri, attraverso differenti forme di violenza fisica o verbale. Il cinismo, l’indifferenza, il disprezzo, il desiderio di colpire, sopraffare e distruggere l’altro, che caratterizzano l’atteggiamento dominante dei bulli nei confronti delle proprie vittime, sono i fattori comportamentali che generano maggiore preoccupazione. Colui che subisce questi soprusi, va incontro ad un processo di depersonalizzazione e di smarrimento della propria autostima; nella convinzione che nessuno possa davvero fornirgli un aiuto e comprendere la sua sofferenza, tende a chiudersi in un guscio di silenzio a causa del terrore di subire le eventuali vendette del suo “carnefice”. Molti episodi di prepotenza si consumano in un'asfissiante atmosfera di omertà e di paura. A questi si associano alcuni fenomeni che aggravano la già difficile situazione, come il tentativo di isolare la vittima, a poco a poco, dalle situazioni di gruppo (21). Queste situazioni, possono essere le ennesime a creare difficoltà da parte del ragazzo di fidarsi e di aprirsi con gli altri, sarà ostile verso la scuola e verso gli adulti in generale e crescendo potrà desiderare di ribellarsi a questo mondo vissuto in modo tanto ostile.

 

 

I Pari: ricerca dell’approvazione da parte del “gruppo”

 

Il gruppo si configura essere per il ragazzo la sua famiglia sociale, il luogo entro cui impara a convivere e a condividere con i coetanei le prime importanti esperienze al di fuori del contesto familiare.

La costituzione dei gruppi può avvenire in questa fase in vario modo, per cui diventa importante una distinzione fondamentale tra i gruppi formali e quelli informali o spontanei (22). Quando si parla di gruppi formali ci si riferisce ad aggregazioni di giovani promosse all’interno di associazioni di vario tipo, motivate a perseguire determinati obiettivi esplicitati a priori, senza i quali quel gruppo non avrebbe motivo di esistere. Essi sono caratterizzati dalla presenza di uno o più adulti che promuovono, dirigono e controllano le attività. La loro costituzione è dunque mediata dall’intervento degli adulti, a differenza dei gruppi informali, che si formano attraverso l’incontro e la scelta reciproca dei membri, che condividono il tempo libero ed il divertimento, talvolta senza perseguire attività specifiche. L’aggregazione di questi gruppi avviene secondo caratteristiche precise, infatti al loro interno si può notare l’omogeneità dei membri per quanto riguarda il modo di vestire, il linguaggio utilizzato, gli stili di comportamento e le modalità di interazione, condivisione che favorisce la nascita di una identità collettiva (23).

Studi condotti su soggetti in età adolescenziale, fra i 12 e i 18 anni, su un campione non rappresentativo a livello nazionale, dimostrano che durante la prima adolescenza, fra i 12 e i 14 anni, i giovani aderiscono maggiormente a forme aggregative di tipo formale e che successivamente, in corrispondenza dei primi anni delle scuole superiori, aumenta progressivamente il numero di giovani che entra a far parte dei gruppi informali (24). Questa inversione di rotta, nasce dall’esigenza di possedere maggiori spazi di autonomia in campo decisionale e comportamentale, che non

sarebbero conseguibili all’interno di aggregazioni formali la cui direzione resta comunque affidata a persona adulte.

In età adolescenziale, il gruppo rappresenta per il giovane un importante fonte di sostegno nel superare i compiti che lo sviluppo comporta. È infatti, attraverso il forte legame affettivo che viene a stabilirsi al suo interno, che il giovane trova la spinta a realizzare il duro processo di separazione individuazione dalla famiglia, indispensabile per dare avvio alla costruzione della sua identità (25).

Lo svincolo dal controllo e dall’autorità genitoriali è un traguardo ambito dai giovani ma, allo stesso tempo, genera in lui la paura di lasciare un mondo conosciuto, all’interno del quale si sentiva protetto, per avventurarsi nell’ignoto.

Le ansie e le paure che questo distacco producono vengono gradualmente superate nel gruppo dei coetanei, in cui i membri, accomunati dalle stesse inquietudini e dalla stessa voglia di esplorare, proseguono questo viaggio insieme offrendosi sostegno reciproco. Al gruppo è affidata inoltre, l’importante funzione di socializzazione, per cui attraverso esso l’adolescente conosce nuovi spazi e sperimenta nuovi modi di comportarsi e di agire, diversi da quelli precedentemente appresi in famiglia.

La gestione autonoma del gruppo, favorisce la produzione di regole e la creazione di un nuovo sistema valoriale da parte dei componenti, spesso molto diverso da quello proposto in famiglia fino a quel momento, nel quale ogni membro del gruppo si riconosce (26). Questo genera di frequente contrasti e malumori con i genitori, che non riescono a comprendere l’atteggiamento del figlio, la postura, il gergo, l’abbigliamento che egli ha assunto e per il quale rappresentano i marcatori di riconoscimento del gruppo a cui ha aderito (27).

È importante a questo proposito che i genitori, preoccupati e disorientati, non si fermino all’apparenza, ma siano in grado di cogliere quei cambiamenti meno evidenti ma più pericolosi che non fanno parte della trasformazione indotta della crescita, come le assenze ingiustificate da scuola, il progressivo calo del rendimento scolastico, la scomparsa di soldi in casa, ed avere più fiducia nel gruppo e nelle sue funzioni durante il processo di crescita dei ragazzi (28).

Le relazioni amicali svolgono nel corso dello sviluppo adolescenziale un importante ruolo adattivo. Per questo motivo le recenti indagini individuano, nell’avere amici in adolescenza, un indice del benessere psicologico dell’individuo e uno dei principali fattori di prevenzione del rischio psicosociale (29). Altresì l’incapacità a stabilire rapporti interpersonali, non consente all’individuo di beneficiare delle opportunità di crescita psicologica e sociale che tali relazioni offrono e di sviluppare quella rete di supporto sociale che può agire come fattore protettivo nei momenti di stress (30).

Spesso non avere amici significa non possedere le qualità ricercate dal gruppo e sperimentare il rifiuto da parte dei coetanei. Esperienza che genera nell’individuo sentimenti di inadeguatezza e di rabbia, che possono condurre allo sviluppo di condotte devianti o di forme diverse di disturbi psichici. Se ciò talvolta dipende da caratteristiche personali, non compatibili con i canoni del gruppo, altre volte deriva dal controllo eccessivo da parte del ruolo familiare, che chiuso al mondo esterno, tende a prolungare lo stato di dipendenza infantile del figlio (31).

L’atteggiamento iperprotettivo dei genitori, blocca la spinta del giovane verso l’esterno, ritardando tutti quegli apprendimenti sociali utili per lo sviluppo cognitivo, affettivo e sociale, e per la costruzione della propria identità.

Da uno studio effettuato da Claes (1992) su adolescenti, è emerso che il livello di autostima dei soggetti è influenzato maggiormente dalla qualità della comunicazione e dalla fiducia che si stabilisce all’interno delle relazioni, piuttosto che dal numero di amici (32). È dunque evidente che, le relazioni amicali sono fondamentali durante il processo di crescita dell’adolescente, anche se talvolta possono diventare pericolose, in quanto anche all’interno di gruppi si verificano talvolta comportamenti antisociali e in generale non funzionali allo sviluppo.

“L’individuo, in un gruppo, torna ad usare, come per una massiccia regressione, dei meccanismi mentali primitivi attraverso i quali perde la propria individualità e accetta di far parte del gruppo” (33).

Alcune delle azioni trasgressive svolte in gruppo, cui il ragazzo trova difficoltà a sottrarsi, sono: fumare insieme, fare escursioni in quartieri rischiosi, sfidarsi in gare di velocità con i motorini, compiere furti. Alcuni di questi gesti sono particolarmente diffusi e vengono usati per misurarsi e percepire i propri limiti e confini, altri, quali il vandalismo, le aggressioni a singoli o ad altri gruppi e le molestie sessuali, sottendono invece situazioni di profondo malessere. Spesso questi comportamenti vengono agiti da ragazzi che appartengono allo stesso quartiere, coetanei, simili per condizioni economiche, solitamente disagiate, e per grado di istruzione, segnato da ripetuti fallimenti scolastici. Sono ragazzi accomunati da un uguale condizione di deprivazione ambientale che li porta inevitabilmente a condividere la stessa disillusa visione del mondo e dell’esistenza.

Si può ipotizzare che l’adolescente pensi di ottenere, con il suo comportamento deviante, una rivalsa rispetto a quella vita che gli ha dato poche risorse sulle quali poter contare. Attraverso le azioni devianti sembra che questi ragazzi cerchino di mettere a tacere il disagio e la sofferenza (34).

Il gruppo dei pari svolge, inoltre, un importante ruolo nello stabilizzare il comportamento impetuoso favorendo lo sviluppo dell’aggressività, fungendo da agenti di rinforzo e da modello sociale (35).

Spesso è il ragazzino più fragile ad essere spinto all’azione deviante, per dimostrare in tal modo la sua appartenenza al gruppo; mentre il “forte”, rivestendo gli abiti del leader, si limita spesso ad impartire ordini e a controllarne l’esecuzione.

Il substrato di deprivazione che unisce i membri si basa spesso sull’assenza delle figure normative. Spesso infatti i padri, che dovrebbero avere le funzioni di indicare quelle regole necessarie per vivere nel mondo esterno, sono assenti fisicamente o emotivamente. Il gruppo, in questi casi, si auto-proclama sostituto paterno, senza però fornire ai singoli la possibilità di elaborare veramente la perdita di tale figura e spingendoli all’azione deviante con l’inganno che questa possa medicare le loro ferite interne36.

E’ compito di tutte le istituzioni con cui il giovane entra in contatto, cogliere i segnali di disagio che non fanno parte del normale processo di crescita e sapere intervenire adeguatamente a sostegno dell’individuo e non invece “etichettarlo” come delinquente anche per i più semplici comportamenti trasgressivi creando il pericolo di condurli a riconoscersi in queste condotte37.

 

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

 

 

1 Vullo C., De Sanctis V., Curare gli adolescenti, NIS Eitore, Roma, 1992.

 

2 Andolfi M., Manuale di psicologia relazionale. La dimensione familiare, Psicologia Relazionale, Roma, 2003.

 

3 Malagoli Togliatti M., Ardone R., Adolescenti e genitori, Carocci, Roma, 1993.

 

4 Andolfi M., Manuale di psicologia relazionale. La dimensione familiare, op. cit.

 

5 www.affaires-criminelles.com

 

6 Zavattini, G.C., La famiglia dell’adolescente: individuazione e senso di appartenenza, in Manuale di psicopatologia dell’adolescenza, Cortina, Milano, 2002.

 

7 De Wit J., Van Der Veer G., trad. It., Psicologia dell’adolescenza. Teorie dello sviluppo e prospettive di intervento, Giunti, Firenze, 1993.

 

8 Andolfi M., La terapia di coppia in una prospettiva trigenerazionale, accademia di psicoterapia della famiglia, Roma, 2006.

 

9 Malagoli Togliatti M., Tafà M., Gli intervanti sulla genitorialità nei nuovi centri per le famiglie, Franco Angeli, Milano, 2005.

 

10 Campana M. C., Storie di figli incompiuti, famiglia oggi, Ed S. Paolo, Roma 2000.

 

11 Gulotta G., Famiglia e violenza: aspetti psicosociale, Giuffrè, Milano, 1984.

 

12 Bonino S., Cattellino E., Ciairano S., Adolescenti e rischio, Giunti, Milano, 2007.

 

13 De Leo G,  Patrizi P, Trattare con adolescenti devianti. Progetti e metodi di intervento nella giustizia minorile, Carocci 1999.

 

14 Cerutti R., Carbone P., Poli R., Adolescenza e disagio, Kappa, Roma, 2004.

 

15 De Leo G,  Patrizi P, Trattare con adolescenti devianti. Progetti e metodi di intervento nella giustizia minorile, Carocci 1999.

 

16 Articolo di Costantini A., Adolescenza: Violenza e aggressività in aumento tra i giovani, pubblicato su: http://www.psiconline.it

 

17 Ammaniti M., Manuale di psicopatologia dell’adolescenza, Raffaello Cortina, Milano, 2002.

 

18 www.istat.it

 

19 Farinelli F., L’insuccesso scolastico, Kappa, Roma, 2002.

 

20 Pelanda E., Difficoltà scolastiche, in Senise, T. (a cura di), L’adolescente come paziente, Angeli, Milano, 1989.

 

21 Climati C., Il bullismo, in Maria di Fatima, 2006.

 

22 Polmonari A., Cavazza N., Rubini M., Psicologia sociale, il Mulino, Bologna, 2002.

 

23 Cerutti R., Carbone P., Poli R., Adolescenza e disagio, op. cit.

 

24 Polmonari A., Cavazza N., Rubini M., Psicologia sociale, op. cit.

 

25 Piertopolli Charmet C., Il futuro in adolescenza, Boringhieri, Torino, 1993.

 

26 Polmonari A., Cavazza N., Rubini M., Psicologia sociale, op. cit.

 

27 Cerutti R., Carbone P., Poli R., Adolescenza e disagio, op. cit.

 

28 Vegetti Finzi S., Battistin A. M., I bambini sono cambiati: la psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondatori, Milano, 1996.

 

29 Schneider B. H., Weiner J., Murphy J., Children friendships: the gigant step beyond acceptance, in Journal of social and Personal relationships, 11, pp. 323-240, 1994.

 

30 Caparra G. V., Fonzi A., L' età sospesa: itinerari del viaggio adolescenziale, Giunti, Firenze, 2000.

 

31 Vegetti Finzi S., Battistin A. M., I bambini sono cambiati: la psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, op. cit.

 

32 Caparra G. V., Fonzi A., L' età sospesa: itinerari del viaggio adolescenziale, op. cit.

 

33 Bion W. R., trad. it., Esperienze nei gruppi, Armando, Roma, 1971.

 

34 Cerutti R., Carbone P., Poli R., Adolescenza e disagio, op. cit.

 

35 Parke R. D., Slaby R. G., The development off aggression, in Socialization, personality and social development, in Handbook of Child Psychology, E.M. Hetherington, New York, 1983.

 

36 Cerutti R., Carbone P., Poli R., Adolescenza e disagio, op. cit.

 

37 Regoliosi L., La prevenzione del disagio giovanile, NIS, Roma, 1994.

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